Un po' per non lasciare troppo all'abbandono il blog, su cui nell'ultimo mese ho pubblicato un solo post, peraltro praticamente di assemblaggio, e un po' anche come 'giustificativo' della prolungata assenza, posto un pezzo di un mio vecchio romanzo breve. La "fine di un altro anno" di cui parla all'inizio non è proprio in linea con il calendario, però ragionando in termini di 'anni scolastici' che iniziano a settembre e finiscono a luglio non è nemmeno troppo sballata.
Per chi volesse leggersi tutto il romanzo lo trova qui.
Colonna sonora consigliata I Ministri, "Stare dove sono"
Ed eccoci alla fine di un altro anno inutile.
"Ma no", "Non è vero" , "Vedi sempre tutto nero" ...
Mi sembra di sentirle, le vostre contestazioni.
"Devi imparare che non sempre tutto va come vuoi, ma non per questo è tutto da buttare", "Niente è mai totalmente inutile"...
Ecco, questo è vero. Anche in quest'anno tre o quattro briciole da portarmi
nell'anno nuovo le ho raccolte, e forse le userò anche. E ti dirò di più: se mi
concentro, se ci penso davvero bene, allora riesco persino a scavare fuori dalla
memoria due, forse anche tre giorni discretamente felici. Ma ne vale la pena? Non di
scavare per trovarli (pensandoci bene anche questa sarebbe una questione
interessante, ma lasciamo perdere), io mi sto chiedendo se valga la pena di vivere un
anno di merda per queste poche briciole.
"E' un brutto momento, ma passerà" ...
Ecco, è proprio questo il punto. Quel "passerà".
Passerà davvero?
Si, perchè è chiaro che se quest'anno, o anche il prossimo, o anche i prossimi
cinque, fossero solo un passaggio, una prova per raggiungere la terra promessa di una
vita a cui sappia dare un senso, allora di sicuro varrebbe la pena di faticarlo, questo
anno e quelli che verranno, varrebbe la pena di sfinirsi per raccogliere quelle briciole
che mi consentano di sopravvivere all'attraversamento del deserto, e di arrivare alle
terre dell'abbondanza. Ma la fede non mi è mai appartenuta, nè in dio nè nel
progresso. "Le magnifiche sorti, e progressive" esercitano un fascino incredibile su di
me, sono sirene che spesso mi hanno trascinato sugli scogli, sfinito e ferito dal mio
rincorrerle, e forse per questo non so, o non voglio, più ascoltarle. E così resto solo,
nel silenzio del mare, solo e senza orientamento, senza una traccia della riva, di quel
'passerà' di cui sopra.
"Passerà".
Certo, ma come? Per un improvviso, imprevisto miracolo forse? Ma fatemi il
piacere, nemmeno voi ci credete, o se ci credete siete sulla lettura sbagliata, non fa per
voi come non fanno per me i vostri consigli.
Io a volte ancora ci spero, nella possibilità del "passerà", ma di un "passerà" che
nasce e cresce dalle mie mani, dal mio fare, dal mio sudore, da una fatica a volte
anche intensa, passibile di sconfinare a tratti nel dolore. E proprio questo è il
problema. O meglio, anche questo è un problema.
Una parte di dolore c'è, fa parte della vita, non possiamo evitarlo e quindi
dobbiamo accettarlo, ma come si distingue il dolore necessario da quello superfluo? Il
dolore che va sopportato da quello che ci indica che stiamo andando fuori strada? Io
non ci riesco, non so distinguerli, e spesso per questo ho riconosciuto molto in ritardo
i miei errori di percorso, spesso ho cercato di sopportare più dolore di quanto potevo,
e oggi quel dolore mi fa paura. Mi fa davvero tanta paura.
Non so se sto realmente fuggendo anche dal dolore necessario, da quello senza il
quale non si supera neppure il più piccolo ostacolo, ma ho l'impressione che sia così.
E tuttavia non so scuotermi, non riesco a trovare il coraggio di lanciarmi, come tante
volte ho fatto in passato, e resto qui a guardare il vuoto attorno, e a piagnucolare su
un anno inutile.
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